Amiamo la moda usata e la compriamo, anzi, compriamo moda di seconda mano oggi più che in qualsiasi altro momento storico.

Se un tempo tale pratica si legava all’occasione di visitare mercati e mercatini dal gusto vintage, boutique affascinanti e ricche di pezzi iconici della moda anni Settanta in cui respirare l’odore di pelle e naftalina, oggi la rivoluzione del web è arrivata direttamente nelle nostre case, o meglio nei nostri armadi, consentendoci di diventare imprenditori del riciclo e di renderlo pratica non solo sostenibile ma anche di moda.

La popolarità di piattaforme di rivendita on line di vestiti e accessori di seconda mano come eBay, Vestiare Collective o Vinted conferma che la moda “usata” rappresenta la tendenza del momento e che non si lega più ad alcun stereotipo che la rendeva limitata in termini sociali o pratica riservata a pochi. Il successo è talmente palese e in crescita che Vestiare Collective nel suo rapporto 2022 sostiene che entro il 2025 l’industria della moda vintage supererà quella di nuove collezioni.

Ecco allora i vari brand della moda cimentarsi con iniziative che vanno in questa direzione e che prevedono accordi con le varie piattaforme per rivendere i loro pezzi usati o coinvolgere direttamente i propri clienti per consentire loro di rivendere capi di altre stagioni. Un successo planetario che non esclude più nessuno e che coinvolge la moda a ogni livello, dal prêt-à-porter all’alta moda fino agli abiti da sposa.

Il riciclo della moda: da pratica vintage a pratica digitale Il riciclo della moda: da pratica vintage a pratica digitale

In un periodo di profonda incertezza economica e di crescente preoccupazione per il cambiamento climatico, l’ambito della moda usata consente di acquistare capi o accessori a prezzi accessibili, limitando quello che potremmo definire uno dei lati oscuri della moda, ovvero l’usa e getta, permettendo di fare un passo in avanti in termini di circolarità. E se c’è già chi mette le mani avanti sul rischio che questo boom possa trasformarsi in un boomerang comportando un aumento dei prezzi di prodotti che solitamente erano destinati a un mercato non sicuramente di lusso, la facilità e il vantaggio di riciclare e poter rivendere i propri capi nell’armadio sembra, al momento, avere la meglio e sposarsi anche con l’idea che sia più semplice e utile ai fini della sostenibilità riutilizzare un capo piuttosto che buttarlo senza la possibilità di separarne i materiali che lo compongono e quindi riciclarli.

Per concludere, la moda sostenibile è semplice da acquistare e rivendere ed accessibile in termini di prezzi, e, stando ai dati del Boston Consulting Group, rappresenterà il 27% dei nostri armadi entro il 2023.
E allora che aspettate, aprite armadi e cassetti a tutto il resto ci penserà il mercato digital!